Introduzione
Davide Astori
Università degli Studi di Parma
davide.astori@unipr. it
Si sono tenuti, all’interno del corso di Linguistica generale dell’a.a. 200910,
quattro incontri con esperti di
cui si raccolgono di seguito i contenuti principali. Essi sono stati possibili grazie a una sinergia preziosa di
realtà che si ringraziano di cuore: il Dipartimento di Filologia Classica e Medievale dell’Università degli
Studi di Parma, che li ha accolti e ospitati; l’AICC – Sezione di Parma, che li ha individuati fra i suoi
percorsi di approfondimento; il Gruppo Esperantista Parmigiano “G. Canuto” e la FEI, che ne hanno curato
l’organizzazione e coperto le spese, destinando parte dei fondi dell’8x1000 dello scorso anno alla gestione
dell’evento.
Lo spirito degli incontri, in consonanza con la più generale tendenza del ciclo di lezioni del modulo, ha
inteso contribuire alla riflessione su temi quali plurilinguismo, lingue e culture minoritarie e loro diritti,
pianificazione ed ecologia linguistica.
Approfittiamo del breve spazio, più che per introdurre contributi che non necessitano di alcuna
presentazione, per riportare integralmente la poesia “Lingua e dialettu” (1970) del siciliano Ignazio Buttitta
che, non a caso scelta come frontespizio del volantino delle lezioni, risuona – per sensibilità e tematiche –
con la provocazione culturale insita nel percorso formativo proposto. La affianca la bella traduzione in
lingvo internacia di Nicola Minnaja, che si ringrazia per la generosa e pronta disponibilità.
Un populu
mittitilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.
Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unni mancia
u lettu unni dormi,
è ancora riccu.
Un populu
diventa poviru e servu
quannu ci arrubanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
Diventa poviru e servu
quanno i paroli non figghianu paroli
e si manciano tra d'iddi.
Mi nn'addugnu ora,
mentri accordu la chitarra du dialettu
ca perdi na corda lu jornu.
Mentre arripezzu
a tila camuluta
ca tissiru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.
E sugnu poviru:
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuelli
e non li pozzu rigalari;
u cantu nta gaggia
cu l’ali tagghiati.
Un poviru
c’addatta nte minni strippi
da matri putativa,
chi u chiama figghiu
pi nciuria.
Nuàtri l’avevamu a matri,
nni l’arrubbaru;
aveva i minni a funtana di latti
e ci vìppiru tutti,
ora ci sputanu.
Nni ristò a vuci d’idda,
a cadenza, a nota vascia –
du sonu e du lamentu:
chissi non nni ponnu rubari.
Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poviri
e orfani u stissu.
La poesia è stata tradotta anche in esperanto:
Popolon
enkatenigu
nudigu
silentigu,
ĝi plue liberas.
Forigu ĝian postenon
la pasporton
la tablon por manĝo
la liton por dormo,
ĝi plue riĉas.
Popolon
iĝas malriĉa kaj sklava
kiam estas forŝtelita la lingvo
ricevita de la patroj:
ĝi porĉiame perditas.
Ĝi iĝas malriĉa kaj sklava
kiam la vortoj ne naskas vortojn
kaj formanĝas unu la alian.
Mi tion rimarkas nun,
dum mi agordas la dialektan gitaron,
perdantan unu kordon ĉiutage.
Dum mi flikas
la ronĝitan tolon
teksitan de niaj prapatroj
per lano de ŝafoj siciliaj.
Kaj mi malriĉas:
posedas la monon
kaj ne povas ĝin elspezi;
la juvelojn
kaj ne povas ilin donaci:
la kanton en la kaĝo
kun stumpaj flugiloj.
Ja malriĉulo
lakton suĉanta de mamoj sekaj
de kvazaŭa patrino,
lin nomanta filo
por moko.
Ni la patrinon havis,
oni ŝin forŝtelis:
el ŝiaj mamoj fontis lakto
kaj el ĝi ĉiuj trinkadis,
nun en ĝin ili kraĉas.
Restis al ni voĉo ŝia,
la takto, la noto basa –
de la sono kaj de la lamento:
tion oni ne povas forŝteli.
Oni ne povas forŝteli,
sed ni restas malriĉaj
kaj orfaj egale.
Prima Lezione
Lingue Minoritarie e Plurilinguismo nella Politica Linguistica dell’UE:il caso della Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie (1992)
Augusto Carli
Dipartimento di Scienze del Linguaggio e della Cultura
Università di Modena e Reggio Emilia
acarli@unimo. it
1. Dal plurilinguismo istituzionale al plurilinguismo statuale
In ogni Paese della UE esistono minoranze linguistiche, “storiche” e “nuove”, e molte altre potrebbero essere
“create” a cannocchiale. Svariate forme di prevaricazione e scontri fra maggioranze e minoranze hanno
dato luogo in passato a pesanti forme di repressione o esclusione sociale. Già nel 1982 la Comunità Europea
aveva affermato tra i suoi principi ideologici e assiologici, che:
[…] la diversità linguistica sui territori degli Stati membri, ed il rispetto di questa, è parte essenziale
della cultura europea e della sua civiltà (Opinione della Commissione degli Affari Politici del Parlamento
Europeo) (DOC 28).
Nel tempo la necessità di tutelare le minoranze linguistiche è rimasta persistente, mentre la gestione e
l’applicazione delle varie raccomandazioni e misure quasi mai si sono rivelate semplici e praticabili1.
A partire dagli anni 90 i testi ufficiali della Unione Europea (UE) manifestano una crescente sensibilità e
attenzione verso la diversità culturale e linguistica. Accanto a ciò permangono tuttavia antiche questioni
insolute che di fatto sono testimoni ineludibili della difficoltà di realizzare i principi ideologici. Le riflessioni
che seguiranno intendono far luce su questa contraddizione di fondo2.
I recenti interventi europei a favore di una rinnovata politica linguistica possono trovare spiegazione nel
fatto che l’auspicata integrazione fra gli Stati membri e il mondo postbipolare
hanno fatto emergere nuove
esigenze e priorità di carattere socioeconomicopolitico.
In teoria l’obiettivo del plurilinguismo (istituzionale
e comunitario) si trova a essere funzionale sia alla pax linguistica che alla certezza del diritto, oltre che
alla mobilità del libero mercato e alla “società della conoscenza e dell’informazione”: è infatti questo uno
dei temi chiave nei dibattiti sulle problematiche legate alla Governance in Europa e alla formulazione di
politiche per l’istruzione transnazionale.
La politica linguistica della UE in materia di tutela della diversità linguistica è desumibile da 4 documenti
fondamentali:
1. il Trattato sulla UE agli artt.126 e 128 (DOC 8);
2. la Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie del 1992 (Appendice n. 9);
3. la Carta Europea dei Diritti Fondamentali dell’UE del 2000 (Appendice n. 10);
4. la Risoluzione del Consiglio sulla diversità linguistica del 14 febbraio 2002 (DOC 15).
Nelle intenzioni del legislatore questa base giuridica dovrebbe tutelare il plurilinguismo anche in previsione
di un allargamento dei propri confini, nel nome di un’identità collettiva plurilingue e pluriculturale. In breve,
gli artt. 126 e 1283 del Trattato di Maastricht legittimano giuridicamente il diretto intervento della UE a
difesa e a sostegno della diversità linguistica e culturale nei Paesi aderenti: in ciò si può ravvisare una politica
volta a promuovere, sulla base di decisioni prese a maggioranza qualificata, un plurilinguismo molto più
ampio di quello istituzionale. Si nota quindi uno spostamento della politica linguistica che non indugia solo
sul valore simbolico dei principi ideologici e assiologici, ma che è molto più interessata a un agire funzionaleteleologico.
Va infine osservato che la politica linguistica esplicita della UE si inserisce in due filoni,
quello della promozione dell’apprendimento linguistico nei sistemi educativi nazionali e quello della tutela
delle lingue minoritarie. All’interno di questo contesto più ampio, presenteremo di seguito natura e valore
della Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie (Carta, d’ora in avanti).
2. La Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie
Il 5 novembre 1992 fu sottoscritta la Carta, entrata in vigore – con 5 ratifiche – il 1° marzo 19984. Il testo in
cui la Carta definisce il concetto di LMR è situato nella Parte I – Disposizioni Generali, art. 1 e recita:
Ai sensi della presente Carta con l’espressione “lingue regionali o minoritarie” si intendono le lingue tradizionalmente
parlate nell'ambito di un territorio di uno Stato da cittadini di quello Stato che costituiscono
un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato, e diverse dalla/e lingua/e
ufficiale/i di quello Stato; tale espressione non comprende né i dialetti della/e lingua/e ufficiale/i dello
Stato né le lingue degli immigrati; per “territorio nel quale una lingua regionale o minoritaria viene
usata” si intende l'area geografica nella quale questa lingua costituisce il modo di esprimersi di un numero
di persone tale da giustificare l’adozione delle diverse misure di tutela e promozione previste dalla
presente Carta; con l’espressione “lingue sprovviste di territorio” si indicano le lingue usate dai cittadini
dello Stato, le quali differiscono dalla/e lingua/e usata/e dal resto della popolazione dello Stato, ma che,benché tradizionalmente parlate nell'ambito del territorio di tale Stato, non possono essere identificate
con una particolare area geografica dello stesso.
Va innanzitutto osservato che la dizione di Lingua Regionale è mutuata dal diritto francese dove sta a indicare
soprattutto lingue autoctone alle quali vengono riconosciuti alcuni diritti, soprattutto in ambito educativo.
Diverso è il caso del termine Lingua Minoritaria5 che non può limitarsi a una esposizione di tipo
giuridico, visto che l’espressione è mutuata dalla lingua comune e porta con sé più di un sovrasenso. La
lingua minoritaria è plasmata soprattutto dall’idea di “Abstand” nei confronti delle lingue nazionali e/o ufficiali
a cui però si aggiunge anche un gradiente di status ridotto (e conseguentemente anche di corpus). Dal
testo si evince l’interpretazione che le LRM sono lingue di entità demografiche più ridotte rispetto alla comunità
linguistica maggioritaria di uno Stato e “diverse” dalla/e lingua/e ufficiale/i di quello Stato. Espressamente
vengono esclusi sia i dialetti della/e lingua/e ufficiale/i dello Stato sia le lingue alloctone.
Per quanto riguarda lo status che le lingue presenti in UE possono ricoprire è opportuno richiamare la seguente
tipologia:
1) Lingue di lavoro delle Istituzioni UE
2) Lingue ufficiali delle Istituzioni UE
3) Lingue ufficiali nazionali degli stati membri
4) Lingue ufficiali regionali degli stati membri
5) Lingue minoritarie autoctone
6) Lingue minoritarie alloctone
7) Dialetti6
La Carta, riferendosi a lingue regionali o minoritarie, prende in considerazione il tipo (5). In termini demografici,
si possono identificare in esse circa 50 milioni di cittadini europei, quasi un cittadino su sette
(SACCHIWARASIN 2002).
Dalla definizione sopra riportata si evince che una LRM non solo è una Abstandsprache rispetto alla lingua
nazionale/ufficiale, ma anche lingua storicamente concresciuta e territorialmente delimitata all’interno di
una entità statuale: è quindi lingua usata da comunità linguistiche numericamente inferiori a quella nazionale,
ma non rientrante né in un “dialetto” né in una “lingua alloctona”. In questa definizione si ravvisano
almeno 5 diverse categorie di LMR:
1. Lingue parlate in un solo Stato (come il bretone in Francia o il gallese nel Regno Unito)
2. Lingue parlate in più di uno Stato (come il basco in Francia e Spagna o il sami in Finlandia e Svezia);
3. Lingue con status di LM in uno Stato, ma con status di lingua ufficiale/nazionale in un altro (come il
danese in Germania o lo sloveno in Italia e in Austria)
4. Lingue autoctone, ma non territoriali e non di “nuova immigrazione”, e presenti come minoranze
diffuse in più Stati (come le cosiddette lingue giudaiche e le lingue zingare)
5. Lingue con status di lingue ufficiali della UE, ma non riconosciute ufficialmente come lingue di lavoro
(in questa categoria figurano solo l’irlandese e il lussemburghese)
La Carta non contiene alcun elenco di lingue regionali o minoritarie7, né fornisce criteri di differenziazione
fra ‘lingua’ e ‘dialetto’, pur dichiarando l’esistenza di “dialetti della/e lingua/e ufficiale/i dello Stato”. Infine,
non include nella tutela né le lingue alloctone né le cosiddette lingue artificiali e le lingue dei segni.
La identificazione della LMR è affidata alla discrezione dei singoli Stati membri. Tuttavia, va considerato,anche sulla base del documento esplicativo e delle appendici di accompagnamento, che se si venisse a escludere
una lingua sulla base di argomentazioni infondate, deboli o speciose – del tipo “non si tratta di una vera
lingua” – ciò costituirebbe un atto di violazione alla Carta stessa. Come afferma GRIN (2003, 48), “the selfperception
of the Community that uses a particular form of expression would certainly have to be taken into
account"8. In effetti, nella parte esplicativa del documento emerge che la questione sull’accertamento di una
LRM non dipende solo strettamente da considerazioni linguistiche, ma anche da fenomeni psicosociali e
politici che possono produrre risposte diverse in casi diversi.
3. Obiettivi e adempimento della Carta
Come noto, una promozione efficace della lingua deve tenere conto dei suoi usi funzionali e delle sue potenzialità.
La tutela proposta dalla Carta è da vedere come azione di status planning che non si traduce da
sola in una pianificazione di corpus né di fatto in una elaborazione. È questo il campo di azione che spetta
molto più al linguista (esperto di pianificazione linguistica) che al politico (esperto di politica linguistica).
Su questo snodo problematico si inseriscono le seguenti riflessioni.
Rimangono a tutt’oggi divergenze di opinione e d’interessi riguardo alle LRM. Un problema centrale, messo
in evidenza da molte agenzie e da varie parti del mondo scientifico, è la decisione di tutelare solo le
lingue minoritarie autoctone, con l’esclusione di quelle alloctone, anche se queste ultime hanno un numero
considerevole di parlanti9: qui si apre il problematico rapporto tra lingue minoritarie e quelle maggioritarie.
In primo luogo, si deve constatare che gli Stati sono restii ad applicare concretamente i principi a tutela
delle lingue minoritarie10. La Francia, ad esempio, nonostante abbia sottoscritto la Carta e la Convenzione
quadro, ha emendato la sua costituzione con un articolo che specifica chiaramente che il francese è l’unica
lingua ufficiale del Paese; in seguito a questo emendamento, la Corte Costituzionale francese ha deciso che
la ratifica della Carta sarebbe stata incompatibile con la costituzione francese. Questa decisione politica non
ha compromesso il fatto che le lingue minoritarie presenti sul territorio francese potessero essere sostenute
dalla UE e dallo Stato stesso, quanto piuttosto l’obbligo di farlo secondo i modi e i principi richiesti dalla
Carta (AMMON 2003: 398). L’impostazione della Legge 482/1999 è per certi versi simile (ORIOLES 2003:5966).
Un ultimo problema è se le LRM possano mai ottenere uno status ufficiale all’interno dell’UE. La questione
nasce dal fatto che esistono, come già detto in precedenza, alcuni gruppi parlanti lingue minoritarie che sono
più numerosi di alcuni parlanti lingue ufficiali: ad esempio, il catalano ha tanti parlanti che il suo status di
lingua regionale, accordatale dal governo spagnolo, appare inadeguato per molti di essi. La Catalogna non
solo aspira al riconoscimento della sua lingua anche in Francia, dove esiste un gruppo di parlanti catalano,
ma anche al riconoscimento di “lingua ufficiale” nell’UE. Non si deve dimenticare che la politica di promozione
delle lingue minoritarie dell’UE, non essendo l’Unione uno Stato ma un insieme di Stati, è sempre
plasmata dalla politica culturale degli Stati membri, che partecipano ognuno con i propri interessi in ogni
ambito.
Gli obiettivi della Carta sono di duplice natura:
1. asserire la protezione e la promozione delle Lingue Minoritarie perché elementi del patrimonio culturale
europeo in pericolo;
2. garantire il più possibile l’uso delle lingue regionali nell’educazione, nei mass media, nell’amministrazione,
nel settore giudiziario e nella vita economica e sociale.
Nello stesso tempo il documento afferma il rispetto dei princìpi della sovranità nazionale e dell’integrità
territoriale dello Stato e formula l’auspicio che la relazione tra lingue ufficiali e regionali non vada interpre
tata in senso antagonistico, dato che la promozione di queste ultime non deve ostacolare l’esistenza delle
prime.
GRIN 2003 sostiene che l’originalità della Carta è sostenuta da due elementi principali:
1. il primo emergerebbe dal fatto che la Carta non parte dalla identificazione di diritti “positivi” o “negativi”
appartenenti alle comunità linguistiche regionali o minoritarie in quanto tali, bensì piuttosto
dal principio dell’appartenenza delle lingue di tali comunità al patrimonio culturale e storico europeo.
Le LRM andrebbero quindi salvaguardate e promosse come elementi essenziali della ricchezza culturale
d’Europa. In altre parole, la Carta non va interpretata secondo un approccio “legale” e “normativo”,
bensì piuttosto come un testo permeato da principi ideologicoaxiologici
che vedono la
“diversità” come sommo bene da preservare e promuovere ai fini dello sviluppo della qualità della vita
di tutti i cittadini (GRIN 2003: 32; 194);
2. il secondo è dato dall’enfasi che essa pone sull’ottenimento di risultati concreti scaturiti dalle azioni
proposte ai Governi. Secondo GRIN 2003 le azioni indicate nella Carta sono tutte “proposte” di iniziative
nei vari ambiti della vita pubblica, per i quali spetterà ai Governi dei singoli Paesi scegliere e
mettere in pratica secondo la specificità della situazione politica e sociale.
La relazione tra diversità linguistica e benessere sociale (welfare) viene spiegata da GRIN (2003: 202) con un
principio microeconomico basilare:
[…] diversity carries both benefits and costs, costs tend to increase at an increasing rate, and benefits at
a decreasing rate. It follows that a socially preferable level of diversity is probably not “infinite” for cost
reasons – or, making the same point using another angle, features other than diversity also affect our quality
of life and require that some resources be spent on them. However, a socially preferable level of
linguistic diversity is certainly positive (and, therefore, larger than zero). For this general reason, it is not
only morally appropriate to preserve threatened languages; it is also a matter of hardheaded,evenselfish common sense.
tenendo però ben presente che:
Regional or minority languages do not have a monopoly as incarnations or guardians of linguistic
diversity; they are, quite simply, key components of diversity (GRIN 2003: 202).
4. Riflessioni conclusive
Dalla valutazione compiuta da Grin sulle procedure di adempimento pratico dei 17 Paesi che all’agosto
2002 avevano ratificato la Carta emergono numerose difficoltà di realizzazione pratica, da cui si possono
prevedere adeguate contromisure in assenza delle quali la Carta è destinata a essere facilmente accantonata
rimanendo lettera morta. Assecondando le argomentazioni e le articolate proposte di Grin, si pone qui al
centro della realizzazione pratica degli intenti della Carta la costituzione di istanze decisionali e consultive –
nella terminologia di Grin language planning bodies e language planning offices (p. 199) – intese come
agenzie locali costituite essenzialmente da esperti di pianificazione linguistica e specializzate nella gestione
del processo, nell’attuazione e nel monitoraggio costante delle PL secondo i criteri dell’effectiveness. La
creazione di LPOs (language planning offices; p. 199) aiuterebbe a stabilire condizioni favorevoli per lo sviluppo
di PL efficienti, senza tuttavia essere da sola garanzia di successo. Anche se la missione di ciascun
LPO deve essere adattata al contesto storico, politico e culturale dei singoli Paesi, si possono definire alcune
caratteristiche generali indispensabili al corretto funzionamento degli LPOs. In particolare:
1. La protezione e la promozione della lingua delle comunità minoritarie, piuttosto che altri problemi di
portata economica e sociale, devono costituire il focus dell’azione degli LPOs; una volta stabilito il
campo d’azione, agli LPOs occorre accertarsi che le scelte politiche prese a favore delle LRM si traducano
in azioni “efficienti”e che a queste seguano risultati concreti altrettanto “efficienti”.
2. È necessario, poi, che la protezione e promozione delle LRM non si limitino ad azioni di corpus
planning quanto piuttosto riguardino azioni di status planning.
3. Gli LPOs non sono una presenza simbolica, ma le loro competenze, soprattutto nel rapporto con le
altre istituzioni politiche e sociali, devono essere ben delineate: è necessario pertanto stabilire un
meccanismo tale per cui venga assicurata la reale attuazione delle raccomandazioni degli LPOs da parte dei dipartimenti e ministeri non specializzati, poiché essi influiscono sull’ambiente linguistico.
4. Gli LPOs garantirebbero, con un funzionamento efficiente, la “democrazia partecipata” alla base di
un modello di governance in cui viene ridotto il divario tra i governanti e i governati. Infatti, il
funzionamento degli LPOs comporterebbe un lavoro di partnership tra le autorità pubbliche, le varie
istituzioni non governative e il grande pubblico.
In ultima analisi, se si vuole preservare “con efficacia ed efficienza” la diversità linguistica, la presenza e
l’uso delle LRM devono essere considerati un fatto “normale”. Il termine ‘normalizzazione’ è mutuato
dall’esempio catalano di normalitzatció, che non si riferisce alla definizione di norme linguistiche riguardanti
le LRM bensì al fare dell’uso di una lingua “particolare” un fatto “normale”. Ciò è dipendente da
alcune condizioni di base imprescindibili che con un unico termine rientrano complessivamente nel
concetto di “vitalità” della lingua. In essa si collocano almeno tre aspetti distinti e interdipendenti che sono
la capacità, l’opportunità e il desiderio di usare la LRM. Il concetto di “normalizzazione” abbraccia queste
tre condizioni e allo stesso tempo legittima l’intervento politico a favore delle LRM sottolineandone peraltro
la rilevanza sociale. Giungere alla “normalizzazione” significa lasciare il terreno della PL “rituale” –
costituita da paradigmi ideologicoaxiologici
– per procedere a una PL “funzionale e pragmatica”.
Questi conflitti sono sicuramente ben lontani dal trovare una soluzione soddisfacente, dal momento che
all’interno dell’UE, anche a seguito dell’allargamento di portata maggiore della storia della Comunità, esistono
altri conflitti sul piano linguistico che potrebbero seriamente mettere in pericolo la sua intera esistenza:
sono i conflitti che riguardano le lingue di lavoro delle Istituzioni europee, che, diventando sempre
più visibili con l’ingresso di nuovi Paesi nell’Unione, possono risultare fatali per l’intera struttura, dal momento
che riguardano gli Stati europei più potenti economicamente e politicamente.
1) - In questa materia è infatti necessario bilanciare le misure di tutela con gli interessi dei singoli Stati
nazionali, che per svariati motivi storico-ideologici non sempre (o non subito) si trovano d’accordo nel
concedere e garantire le libertà richieste (COULMAS 1991: 15). I l risultato delle misure adottate è apparso
spesso ambiguo, o quanto meno anodino, giacché nessuna tutela si realizza senza modificare i problemi
culturali ed economici alla base della emarginazione/esclusione, vale a dire i rapporti di potere fra lingua
dominante e lingua dominata. In concreto, il discorso legale si è rivelato simile a un flatus vocis, visto che le
proposizioni, da sole, non si ripercuotono automaticamente su interventi a modifica delle premesse sociopolitico-
economiche.
2) - Per una rassegna sulle varie fasi della politica linguistica europea dagli anni 70 a oggi si rimanda
soprattutto a HAARMANN (1974), COULMAS (1991a, 1991b), LABRIE (1993), AMMON (1994, 2003), TRUCHOT ET AL.
(1994), SIGUAN (1995), WEBER (1996), WRIGHT (2000), PHILLIPSON (2003) e DELL’AQUILA – IANNÀCCARO (2004).
3) - Articolo 126: §1 La Comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la
cooperazione tra gli Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto
della responsabilità degli stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione
del sistema d’istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche. §2 L’azione della Comunità è
intesa: a sviluppare la dimensione europea dell’istruzione, segnatamente con l’apprendimento e la diffusione
delle lingue degli Stati membri; a favorire la mobilità.
4) - La Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie venne adottata dal Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa il 23 giugno 1992, sotto forma legale di Convenzione. Nessuno dei 28 membri del
Consiglio d’Europa si oppose alla Carta: Solo 5 Paesi – Cipro, Francia, Grecia, Turchia e Regno Unito – si
astennero. Per una sintetica descrizione strutturale del Documento basterà dire che si compone di: 1) un
preambolo; 2) un corpo costituito da 5 parti distinti e 3) un “documento esplicativo”.
I l preambolo (1) contiene i princìpi filosofici e legali sui quali si basa la Carta, cioè: a) la tutela delle Lingue
Regionali o Minoritarie d’Europa quale elemento essenziale del patrimonio culturale europeo; b) l’uso delle
Lingue Regionali o Minoritarie quale diritto inalienabile, conformemente ai princìpi espressi nella
“Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sui Diritti Civili e Politici” e allo spirito della “Convenzione
per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali” del Consiglio d’Europa; c) l’esplicitazione che
la tutela e la promozione delle Lingue Regionali o Minoritarie non devono andare a detrimento delle lingue
ufficiali europee, e d) infine, il principio della diversità linguistica e culturale come anima democratica del
continente europeo.
Le 5 parti di cui si compone il corpo (2) della Carta sono: a) condizioni generali, cioè definizioni e descrizione
degli attuali regimi di protezione; b) obiettivi e princìpi; c) misure concrete per promuovere le LRM, che
distinguono la Carta dalle altre convenzioni internazionali sul tema; d) applicazioni della Carta; e) condizioni
finali, di carattere strettamente tecnico, sul controllo dell’applicazione da parte degli Stati delle misure e dei
princìpi previsti dalla Carta.
Infine, il “documento esplicativo” (3) – aggiunto alla Carta – non ha valore legale, ma è funzionale alla
interpretazione di tutto il documento.
5) - Si osservi a questo proposito l’osservazione di LATRIE (1999: 204), in IANNÀCCARO-DELL’AQUILA (2000: 52): “La
politica linguistica, in quanto funzione dei rapporti di potere costruiti sulla base dell’ideologia linguistica,
presuppone la creazione di minoranze linguistiche. D’altra parte, la politica linguistica e i diritti delle
minoranze possono essere considerati come le due facce della stessa realtà: due facce del pluralismo
linguistico che si trovano a volte in contraddizione”.
6) - I concetti di lingua e dialetto, chiarissimi nella percezione dei parlanti e dei politici, che attribuiscono loro
precise gerarchie valutative di tipo sociale e identificativo, sono invece da sempre argomento di acceso
dibattito fra i linguisti. Le differenze fra i due concetti non sono di carattere strettamente linguistico, ma
dovute invece a fattori storici, sociali e politici. Potenzialmente qualsiasi varietà linguistica è equivalente a
qualunque altra.
7) - Un’esauriente tipologia è comunque proposta da EXTRA-GORTER (2001: 8-12).
8)- In connessione con le varie critiche e i commenti alla Legge dello stato italiano 482/1999 per la tutela
delle minoranze linguistiche storiche si vedano i pericoli della autorivendicazione (DAL NEGRO 2000: 97) e
quelli della esaltazione della autopercezione (ORIOLES 2003: 58).
9) - L’Europa infatti ospita, oltre le cinquanta lingue autoctone, anche un numero elevato – probabilmente
alcune centinaia – di lingue alloctone (AMMON 2003: 393).
10) - Ratificare una Convenzione significa portarla dal livello superiore degli Stati a quello inferiore dei
cittadini, ossia vincolare questi ultimi ai principi enunciati nella convenzione attraverso la creazione di una
legge specifica nell’ordinamento statale.
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European Integration. Clevedon: Multilingual Matters.
Davide Astori
Università degli Studi di Parma
davide.astori@unipr. it
Si sono tenuti, all’interno del corso di Linguistica generale dell’a.a. 200910,
quattro incontri con esperti di
cui si raccolgono di seguito i contenuti principali. Essi sono stati possibili grazie a una sinergia preziosa di
realtà che si ringraziano di cuore: il Dipartimento di Filologia Classica e Medievale dell’Università degli
Studi di Parma, che li ha accolti e ospitati; l’AICC – Sezione di Parma, che li ha individuati fra i suoi
percorsi di approfondimento; il Gruppo Esperantista Parmigiano “G. Canuto” e la FEI, che ne hanno curato
l’organizzazione e coperto le spese, destinando parte dei fondi dell’8x1000 dello scorso anno alla gestione
dell’evento.
Lo spirito degli incontri, in consonanza con la più generale tendenza del ciclo di lezioni del modulo, ha
inteso contribuire alla riflessione su temi quali plurilinguismo, lingue e culture minoritarie e loro diritti,
pianificazione ed ecologia linguistica.
Approfittiamo del breve spazio, più che per introdurre contributi che non necessitano di alcuna
presentazione, per riportare integralmente la poesia “Lingua e dialettu” (1970) del siciliano Ignazio Buttitta
che, non a caso scelta come frontespizio del volantino delle lezioni, risuona – per sensibilità e tematiche –
con la provocazione culturale insita nel percorso formativo proposto. La affianca la bella traduzione in
lingvo internacia di Nicola Minnaja, che si ringrazia per la generosa e pronta disponibilità.
Un populu
mittitilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.
Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unni mancia
u lettu unni dormi,
è ancora riccu.
Un populu
diventa poviru e servu
quannu ci arrubanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
Diventa poviru e servu
quanno i paroli non figghianu paroli
e si manciano tra d'iddi.
Mi nn'addugnu ora,
mentri accordu la chitarra du dialettu
ca perdi na corda lu jornu.
Mentre arripezzu
a tila camuluta
ca tissiru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.
E sugnu poviru:
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuelli
e non li pozzu rigalari;
u cantu nta gaggia
cu l’ali tagghiati.
Un poviru
c’addatta nte minni strippi
da matri putativa,
chi u chiama figghiu
pi nciuria.
Nuàtri l’avevamu a matri,
nni l’arrubbaru;
aveva i minni a funtana di latti
e ci vìppiru tutti,
ora ci sputanu.
Nni ristò a vuci d’idda,
a cadenza, a nota vascia –
du sonu e du lamentu:
chissi non nni ponnu rubari.
Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poviri
e orfani u stissu.
La poesia è stata tradotta anche in esperanto:
Popolon
enkatenigu
nudigu
silentigu,
ĝi plue liberas.
Forigu ĝian postenon
la pasporton
la tablon por manĝo
la liton por dormo,
ĝi plue riĉas.
Popolon
iĝas malriĉa kaj sklava
kiam estas forŝtelita la lingvo
ricevita de la patroj:
ĝi porĉiame perditas.
Ĝi iĝas malriĉa kaj sklava
kiam la vortoj ne naskas vortojn
kaj formanĝas unu la alian.
Mi tion rimarkas nun,
dum mi agordas la dialektan gitaron,
perdantan unu kordon ĉiutage.
Dum mi flikas
la ronĝitan tolon
teksitan de niaj prapatroj
per lano de ŝafoj siciliaj.
Kaj mi malriĉas:
posedas la monon
kaj ne povas ĝin elspezi;
la juvelojn
kaj ne povas ilin donaci:
la kanton en la kaĝo
kun stumpaj flugiloj.
Ja malriĉulo
lakton suĉanta de mamoj sekaj
de kvazaŭa patrino,
lin nomanta filo
por moko.
Ni la patrinon havis,
oni ŝin forŝtelis:
el ŝiaj mamoj fontis lakto
kaj el ĝi ĉiuj trinkadis,
nun en ĝin ili kraĉas.
Restis al ni voĉo ŝia,
la takto, la noto basa –
de la sono kaj de la lamento:
tion oni ne povas forŝteli.
Oni ne povas forŝteli,
sed ni restas malriĉaj
kaj orfaj egale.
Prima Lezione
Lingue Minoritarie e Plurilinguismo nella Politica Linguistica dell’UE:il caso della Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie (1992)
Augusto Carli
Dipartimento di Scienze del Linguaggio e della Cultura
Università di Modena e Reggio Emilia
acarli@unimo. it
1. Dal plurilinguismo istituzionale al plurilinguismo statuale
In ogni Paese della UE esistono minoranze linguistiche, “storiche” e “nuove”, e molte altre potrebbero essere
“create” a cannocchiale. Svariate forme di prevaricazione e scontri fra maggioranze e minoranze hanno
dato luogo in passato a pesanti forme di repressione o esclusione sociale. Già nel 1982 la Comunità Europea
aveva affermato tra i suoi principi ideologici e assiologici, che:
[…] la diversità linguistica sui territori degli Stati membri, ed il rispetto di questa, è parte essenziale
della cultura europea e della sua civiltà (Opinione della Commissione degli Affari Politici del Parlamento
Europeo) (DOC 28).
Nel tempo la necessità di tutelare le minoranze linguistiche è rimasta persistente, mentre la gestione e
l’applicazione delle varie raccomandazioni e misure quasi mai si sono rivelate semplici e praticabili1.
A partire dagli anni 90 i testi ufficiali della Unione Europea (UE) manifestano una crescente sensibilità e
attenzione verso la diversità culturale e linguistica. Accanto a ciò permangono tuttavia antiche questioni
insolute che di fatto sono testimoni ineludibili della difficoltà di realizzare i principi ideologici. Le riflessioni
che seguiranno intendono far luce su questa contraddizione di fondo2.
I recenti interventi europei a favore di una rinnovata politica linguistica possono trovare spiegazione nel
fatto che l’auspicata integrazione fra gli Stati membri e il mondo postbipolare
hanno fatto emergere nuove
esigenze e priorità di carattere socioeconomicopolitico.
In teoria l’obiettivo del plurilinguismo (istituzionale
e comunitario) si trova a essere funzionale sia alla pax linguistica che alla certezza del diritto, oltre che
alla mobilità del libero mercato e alla “società della conoscenza e dell’informazione”: è infatti questo uno
dei temi chiave nei dibattiti sulle problematiche legate alla Governance in Europa e alla formulazione di
politiche per l’istruzione transnazionale.
La politica linguistica della UE in materia di tutela della diversità linguistica è desumibile da 4 documenti
fondamentali:
1. il Trattato sulla UE agli artt.126 e 128 (DOC 8);
2. la Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie del 1992 (Appendice n. 9);
3. la Carta Europea dei Diritti Fondamentali dell’UE del 2000 (Appendice n. 10);
4. la Risoluzione del Consiglio sulla diversità linguistica del 14 febbraio 2002 (DOC 15).
Nelle intenzioni del legislatore questa base giuridica dovrebbe tutelare il plurilinguismo anche in previsione
di un allargamento dei propri confini, nel nome di un’identità collettiva plurilingue e pluriculturale. In breve,
gli artt. 126 e 1283 del Trattato di Maastricht legittimano giuridicamente il diretto intervento della UE a
difesa e a sostegno della diversità linguistica e culturale nei Paesi aderenti: in ciò si può ravvisare una politica
volta a promuovere, sulla base di decisioni prese a maggioranza qualificata, un plurilinguismo molto più
ampio di quello istituzionale. Si nota quindi uno spostamento della politica linguistica che non indugia solo
sul valore simbolico dei principi ideologici e assiologici, ma che è molto più interessata a un agire funzionaleteleologico.
Va infine osservato che la politica linguistica esplicita della UE si inserisce in due filoni,
quello della promozione dell’apprendimento linguistico nei sistemi educativi nazionali e quello della tutela
delle lingue minoritarie. All’interno di questo contesto più ampio, presenteremo di seguito natura e valore
della Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie (Carta, d’ora in avanti).
2. La Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie
Il 5 novembre 1992 fu sottoscritta la Carta, entrata in vigore – con 5 ratifiche – il 1° marzo 19984. Il testo in
cui la Carta definisce il concetto di LMR è situato nella Parte I – Disposizioni Generali, art. 1 e recita:
Ai sensi della presente Carta con l’espressione “lingue regionali o minoritarie” si intendono le lingue tradizionalmente
parlate nell'ambito di un territorio di uno Stato da cittadini di quello Stato che costituiscono
un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato, e diverse dalla/e lingua/e
ufficiale/i di quello Stato; tale espressione non comprende né i dialetti della/e lingua/e ufficiale/i dello
Stato né le lingue degli immigrati; per “territorio nel quale una lingua regionale o minoritaria viene
usata” si intende l'area geografica nella quale questa lingua costituisce il modo di esprimersi di un numero
di persone tale da giustificare l’adozione delle diverse misure di tutela e promozione previste dalla
presente Carta; con l’espressione “lingue sprovviste di territorio” si indicano le lingue usate dai cittadini
dello Stato, le quali differiscono dalla/e lingua/e usata/e dal resto della popolazione dello Stato, ma che,benché tradizionalmente parlate nell'ambito del territorio di tale Stato, non possono essere identificate
con una particolare area geografica dello stesso.
Va innanzitutto osservato che la dizione di Lingua Regionale è mutuata dal diritto francese dove sta a indicare
soprattutto lingue autoctone alle quali vengono riconosciuti alcuni diritti, soprattutto in ambito educativo.
Diverso è il caso del termine Lingua Minoritaria5 che non può limitarsi a una esposizione di tipo
giuridico, visto che l’espressione è mutuata dalla lingua comune e porta con sé più di un sovrasenso. La
lingua minoritaria è plasmata soprattutto dall’idea di “Abstand” nei confronti delle lingue nazionali e/o ufficiali
a cui però si aggiunge anche un gradiente di status ridotto (e conseguentemente anche di corpus). Dal
testo si evince l’interpretazione che le LRM sono lingue di entità demografiche più ridotte rispetto alla comunità
linguistica maggioritaria di uno Stato e “diverse” dalla/e lingua/e ufficiale/i di quello Stato. Espressamente
vengono esclusi sia i dialetti della/e lingua/e ufficiale/i dello Stato sia le lingue alloctone.
Per quanto riguarda lo status che le lingue presenti in UE possono ricoprire è opportuno richiamare la seguente
tipologia:
1) Lingue di lavoro delle Istituzioni UE
2) Lingue ufficiali delle Istituzioni UE
3) Lingue ufficiali nazionali degli stati membri
4) Lingue ufficiali regionali degli stati membri
5) Lingue minoritarie autoctone
6) Lingue minoritarie alloctone
7) Dialetti6
La Carta, riferendosi a lingue regionali o minoritarie, prende in considerazione il tipo (5). In termini demografici,
si possono identificare in esse circa 50 milioni di cittadini europei, quasi un cittadino su sette
(SACCHIWARASIN 2002).
Dalla definizione sopra riportata si evince che una LRM non solo è una Abstandsprache rispetto alla lingua
nazionale/ufficiale, ma anche lingua storicamente concresciuta e territorialmente delimitata all’interno di
una entità statuale: è quindi lingua usata da comunità linguistiche numericamente inferiori a quella nazionale,
ma non rientrante né in un “dialetto” né in una “lingua alloctona”. In questa definizione si ravvisano
almeno 5 diverse categorie di LMR:
1. Lingue parlate in un solo Stato (come il bretone in Francia o il gallese nel Regno Unito)
2. Lingue parlate in più di uno Stato (come il basco in Francia e Spagna o il sami in Finlandia e Svezia);
3. Lingue con status di LM in uno Stato, ma con status di lingua ufficiale/nazionale in un altro (come il
danese in Germania o lo sloveno in Italia e in Austria)
4. Lingue autoctone, ma non territoriali e non di “nuova immigrazione”, e presenti come minoranze
diffuse in più Stati (come le cosiddette lingue giudaiche e le lingue zingare)
5. Lingue con status di lingue ufficiali della UE, ma non riconosciute ufficialmente come lingue di lavoro
(in questa categoria figurano solo l’irlandese e il lussemburghese)
La Carta non contiene alcun elenco di lingue regionali o minoritarie7, né fornisce criteri di differenziazione
fra ‘lingua’ e ‘dialetto’, pur dichiarando l’esistenza di “dialetti della/e lingua/e ufficiale/i dello Stato”. Infine,
non include nella tutela né le lingue alloctone né le cosiddette lingue artificiali e le lingue dei segni.
La identificazione della LMR è affidata alla discrezione dei singoli Stati membri. Tuttavia, va considerato,anche sulla base del documento esplicativo e delle appendici di accompagnamento, che se si venisse a escludere
una lingua sulla base di argomentazioni infondate, deboli o speciose – del tipo “non si tratta di una vera
lingua” – ciò costituirebbe un atto di violazione alla Carta stessa. Come afferma GRIN (2003, 48), “the selfperception
of the Community that uses a particular form of expression would certainly have to be taken into
account"8. In effetti, nella parte esplicativa del documento emerge che la questione sull’accertamento di una
LRM non dipende solo strettamente da considerazioni linguistiche, ma anche da fenomeni psicosociali e
politici che possono produrre risposte diverse in casi diversi.
3. Obiettivi e adempimento della Carta
Come noto, una promozione efficace della lingua deve tenere conto dei suoi usi funzionali e delle sue potenzialità.
La tutela proposta dalla Carta è da vedere come azione di status planning che non si traduce da
sola in una pianificazione di corpus né di fatto in una elaborazione. È questo il campo di azione che spetta
molto più al linguista (esperto di pianificazione linguistica) che al politico (esperto di politica linguistica).
Su questo snodo problematico si inseriscono le seguenti riflessioni.
Rimangono a tutt’oggi divergenze di opinione e d’interessi riguardo alle LRM. Un problema centrale, messo
in evidenza da molte agenzie e da varie parti del mondo scientifico, è la decisione di tutelare solo le
lingue minoritarie autoctone, con l’esclusione di quelle alloctone, anche se queste ultime hanno un numero
considerevole di parlanti9: qui si apre il problematico rapporto tra lingue minoritarie e quelle maggioritarie.
In primo luogo, si deve constatare che gli Stati sono restii ad applicare concretamente i principi a tutela
delle lingue minoritarie10. La Francia, ad esempio, nonostante abbia sottoscritto la Carta e la Convenzione
quadro, ha emendato la sua costituzione con un articolo che specifica chiaramente che il francese è l’unica
lingua ufficiale del Paese; in seguito a questo emendamento, la Corte Costituzionale francese ha deciso che
la ratifica della Carta sarebbe stata incompatibile con la costituzione francese. Questa decisione politica non
ha compromesso il fatto che le lingue minoritarie presenti sul territorio francese potessero essere sostenute
dalla UE e dallo Stato stesso, quanto piuttosto l’obbligo di farlo secondo i modi e i principi richiesti dalla
Carta (AMMON 2003: 398). L’impostazione della Legge 482/1999 è per certi versi simile (ORIOLES 2003:5966).
Un ultimo problema è se le LRM possano mai ottenere uno status ufficiale all’interno dell’UE. La questione
nasce dal fatto che esistono, come già detto in precedenza, alcuni gruppi parlanti lingue minoritarie che sono
più numerosi di alcuni parlanti lingue ufficiali: ad esempio, il catalano ha tanti parlanti che il suo status di
lingua regionale, accordatale dal governo spagnolo, appare inadeguato per molti di essi. La Catalogna non
solo aspira al riconoscimento della sua lingua anche in Francia, dove esiste un gruppo di parlanti catalano,
ma anche al riconoscimento di “lingua ufficiale” nell’UE. Non si deve dimenticare che la politica di promozione
delle lingue minoritarie dell’UE, non essendo l’Unione uno Stato ma un insieme di Stati, è sempre
plasmata dalla politica culturale degli Stati membri, che partecipano ognuno con i propri interessi in ogni
ambito.
Gli obiettivi della Carta sono di duplice natura:
1. asserire la protezione e la promozione delle Lingue Minoritarie perché elementi del patrimonio culturale
europeo in pericolo;
2. garantire il più possibile l’uso delle lingue regionali nell’educazione, nei mass media, nell’amministrazione,
nel settore giudiziario e nella vita economica e sociale.
Nello stesso tempo il documento afferma il rispetto dei princìpi della sovranità nazionale e dell’integrità
territoriale dello Stato e formula l’auspicio che la relazione tra lingue ufficiali e regionali non vada interpre
tata in senso antagonistico, dato che la promozione di queste ultime non deve ostacolare l’esistenza delle
prime.
GRIN 2003 sostiene che l’originalità della Carta è sostenuta da due elementi principali:
1. il primo emergerebbe dal fatto che la Carta non parte dalla identificazione di diritti “positivi” o “negativi”
appartenenti alle comunità linguistiche regionali o minoritarie in quanto tali, bensì piuttosto
dal principio dell’appartenenza delle lingue di tali comunità al patrimonio culturale e storico europeo.
Le LRM andrebbero quindi salvaguardate e promosse come elementi essenziali della ricchezza culturale
d’Europa. In altre parole, la Carta non va interpretata secondo un approccio “legale” e “normativo”,
bensì piuttosto come un testo permeato da principi ideologicoaxiologici
che vedono la
“diversità” come sommo bene da preservare e promuovere ai fini dello sviluppo della qualità della vita
di tutti i cittadini (GRIN 2003: 32; 194);
2. il secondo è dato dall’enfasi che essa pone sull’ottenimento di risultati concreti scaturiti dalle azioni
proposte ai Governi. Secondo GRIN 2003 le azioni indicate nella Carta sono tutte “proposte” di iniziative
nei vari ambiti della vita pubblica, per i quali spetterà ai Governi dei singoli Paesi scegliere e
mettere in pratica secondo la specificità della situazione politica e sociale.
La relazione tra diversità linguistica e benessere sociale (welfare) viene spiegata da GRIN (2003: 202) con un
principio microeconomico basilare:
[…] diversity carries both benefits and costs, costs tend to increase at an increasing rate, and benefits at
a decreasing rate. It follows that a socially preferable level of diversity is probably not “infinite” for cost
reasons – or, making the same point using another angle, features other than diversity also affect our quality
of life and require that some resources be spent on them. However, a socially preferable level of
linguistic diversity is certainly positive (and, therefore, larger than zero). For this general reason, it is not
only morally appropriate to preserve threatened languages; it is also a matter of hardheaded,evenselfish common sense.
tenendo però ben presente che:
Regional or minority languages do not have a monopoly as incarnations or guardians of linguistic
diversity; they are, quite simply, key components of diversity (GRIN 2003: 202).
4. Riflessioni conclusive
Dalla valutazione compiuta da Grin sulle procedure di adempimento pratico dei 17 Paesi che all’agosto
2002 avevano ratificato la Carta emergono numerose difficoltà di realizzazione pratica, da cui si possono
prevedere adeguate contromisure in assenza delle quali la Carta è destinata a essere facilmente accantonata
rimanendo lettera morta. Assecondando le argomentazioni e le articolate proposte di Grin, si pone qui al
centro della realizzazione pratica degli intenti della Carta la costituzione di istanze decisionali e consultive –
nella terminologia di Grin language planning bodies e language planning offices (p. 199) – intese come
agenzie locali costituite essenzialmente da esperti di pianificazione linguistica e specializzate nella gestione
del processo, nell’attuazione e nel monitoraggio costante delle PL secondo i criteri dell’effectiveness. La
creazione di LPOs (language planning offices; p. 199) aiuterebbe a stabilire condizioni favorevoli per lo sviluppo
di PL efficienti, senza tuttavia essere da sola garanzia di successo. Anche se la missione di ciascun
LPO deve essere adattata al contesto storico, politico e culturale dei singoli Paesi, si possono definire alcune
caratteristiche generali indispensabili al corretto funzionamento degli LPOs. In particolare:
1. La protezione e la promozione della lingua delle comunità minoritarie, piuttosto che altri problemi di
portata economica e sociale, devono costituire il focus dell’azione degli LPOs; una volta stabilito il
campo d’azione, agli LPOs occorre accertarsi che le scelte politiche prese a favore delle LRM si traducano
in azioni “efficienti”e che a queste seguano risultati concreti altrettanto “efficienti”.
2. È necessario, poi, che la protezione e promozione delle LRM non si limitino ad azioni di corpus
planning quanto piuttosto riguardino azioni di status planning.
3. Gli LPOs non sono una presenza simbolica, ma le loro competenze, soprattutto nel rapporto con le
altre istituzioni politiche e sociali, devono essere ben delineate: è necessario pertanto stabilire un
meccanismo tale per cui venga assicurata la reale attuazione delle raccomandazioni degli LPOs da parte dei dipartimenti e ministeri non specializzati, poiché essi influiscono sull’ambiente linguistico.
4. Gli LPOs garantirebbero, con un funzionamento efficiente, la “democrazia partecipata” alla base di
un modello di governance in cui viene ridotto il divario tra i governanti e i governati. Infatti, il
funzionamento degli LPOs comporterebbe un lavoro di partnership tra le autorità pubbliche, le varie
istituzioni non governative e il grande pubblico.
In ultima analisi, se si vuole preservare “con efficacia ed efficienza” la diversità linguistica, la presenza e
l’uso delle LRM devono essere considerati un fatto “normale”. Il termine ‘normalizzazione’ è mutuato
dall’esempio catalano di normalitzatció, che non si riferisce alla definizione di norme linguistiche riguardanti
le LRM bensì al fare dell’uso di una lingua “particolare” un fatto “normale”. Ciò è dipendente da
alcune condizioni di base imprescindibili che con un unico termine rientrano complessivamente nel
concetto di “vitalità” della lingua. In essa si collocano almeno tre aspetti distinti e interdipendenti che sono
la capacità, l’opportunità e il desiderio di usare la LRM. Il concetto di “normalizzazione” abbraccia queste
tre condizioni e allo stesso tempo legittima l’intervento politico a favore delle LRM sottolineandone peraltro
la rilevanza sociale. Giungere alla “normalizzazione” significa lasciare il terreno della PL “rituale” –
costituita da paradigmi ideologicoaxiologici
– per procedere a una PL “funzionale e pragmatica”.
Questi conflitti sono sicuramente ben lontani dal trovare una soluzione soddisfacente, dal momento che
all’interno dell’UE, anche a seguito dell’allargamento di portata maggiore della storia della Comunità, esistono
altri conflitti sul piano linguistico che potrebbero seriamente mettere in pericolo la sua intera esistenza:
sono i conflitti che riguardano le lingue di lavoro delle Istituzioni europee, che, diventando sempre
più visibili con l’ingresso di nuovi Paesi nell’Unione, possono risultare fatali per l’intera struttura, dal momento
che riguardano gli Stati europei più potenti economicamente e politicamente.
1) - In questa materia è infatti necessario bilanciare le misure di tutela con gli interessi dei singoli Stati
nazionali, che per svariati motivi storico-ideologici non sempre (o non subito) si trovano d’accordo nel
concedere e garantire le libertà richieste (COULMAS 1991: 15). I l risultato delle misure adottate è apparso
spesso ambiguo, o quanto meno anodino, giacché nessuna tutela si realizza senza modificare i problemi
culturali ed economici alla base della emarginazione/esclusione, vale a dire i rapporti di potere fra lingua
dominante e lingua dominata. In concreto, il discorso legale si è rivelato simile a un flatus vocis, visto che le
proposizioni, da sole, non si ripercuotono automaticamente su interventi a modifica delle premesse sociopolitico-
economiche.
2) - Per una rassegna sulle varie fasi della politica linguistica europea dagli anni 70 a oggi si rimanda
soprattutto a HAARMANN (1974), COULMAS (1991a, 1991b), LABRIE (1993), AMMON (1994, 2003), TRUCHOT ET AL.
(1994), SIGUAN (1995), WEBER (1996), WRIGHT (2000), PHILLIPSON (2003) e DELL’AQUILA – IANNÀCCARO (2004).
3) - Articolo 126: §1 La Comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la
cooperazione tra gli Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto
della responsabilità degli stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione
del sistema d’istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche. §2 L’azione della Comunità è
intesa: a sviluppare la dimensione europea dell’istruzione, segnatamente con l’apprendimento e la diffusione
delle lingue degli Stati membri; a favorire la mobilità.
4) - La Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie venne adottata dal Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa il 23 giugno 1992, sotto forma legale di Convenzione. Nessuno dei 28 membri del
Consiglio d’Europa si oppose alla Carta: Solo 5 Paesi – Cipro, Francia, Grecia, Turchia e Regno Unito – si
astennero. Per una sintetica descrizione strutturale del Documento basterà dire che si compone di: 1) un
preambolo; 2) un corpo costituito da 5 parti distinti e 3) un “documento esplicativo”.
I l preambolo (1) contiene i princìpi filosofici e legali sui quali si basa la Carta, cioè: a) la tutela delle Lingue
Regionali o Minoritarie d’Europa quale elemento essenziale del patrimonio culturale europeo; b) l’uso delle
Lingue Regionali o Minoritarie quale diritto inalienabile, conformemente ai princìpi espressi nella
“Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sui Diritti Civili e Politici” e allo spirito della “Convenzione
per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali” del Consiglio d’Europa; c) l’esplicitazione che
la tutela e la promozione delle Lingue Regionali o Minoritarie non devono andare a detrimento delle lingue
ufficiali europee, e d) infine, il principio della diversità linguistica e culturale come anima democratica del
continente europeo.
Le 5 parti di cui si compone il corpo (2) della Carta sono: a) condizioni generali, cioè definizioni e descrizione
degli attuali regimi di protezione; b) obiettivi e princìpi; c) misure concrete per promuovere le LRM, che
distinguono la Carta dalle altre convenzioni internazionali sul tema; d) applicazioni della Carta; e) condizioni
finali, di carattere strettamente tecnico, sul controllo dell’applicazione da parte degli Stati delle misure e dei
princìpi previsti dalla Carta.
Infine, il “documento esplicativo” (3) – aggiunto alla Carta – non ha valore legale, ma è funzionale alla
interpretazione di tutto il documento.
5) - Si osservi a questo proposito l’osservazione di LATRIE (1999: 204), in IANNÀCCARO-DELL’AQUILA (2000: 52): “La
politica linguistica, in quanto funzione dei rapporti di potere costruiti sulla base dell’ideologia linguistica,
presuppone la creazione di minoranze linguistiche. D’altra parte, la politica linguistica e i diritti delle
minoranze possono essere considerati come le due facce della stessa realtà: due facce del pluralismo
linguistico che si trovano a volte in contraddizione”.
6) - I concetti di lingua e dialetto, chiarissimi nella percezione dei parlanti e dei politici, che attribuiscono loro
precise gerarchie valutative di tipo sociale e identificativo, sono invece da sempre argomento di acceso
dibattito fra i linguisti. Le differenze fra i due concetti non sono di carattere strettamente linguistico, ma
dovute invece a fattori storici, sociali e politici. Potenzialmente qualsiasi varietà linguistica è equivalente a
qualunque altra.
7) - Un’esauriente tipologia è comunque proposta da EXTRA-GORTER (2001: 8-12).
8)- In connessione con le varie critiche e i commenti alla Legge dello stato italiano 482/1999 per la tutela
delle minoranze linguistiche storiche si vedano i pericoli della autorivendicazione (DAL NEGRO 2000: 97) e
quelli della esaltazione della autopercezione (ORIOLES 2003: 58).
9) - L’Europa infatti ospita, oltre le cinquanta lingue autoctone, anche un numero elevato – probabilmente
alcune centinaia – di lingue alloctone (AMMON 2003: 393).
10) - Ratificare una Convenzione significa portarla dal livello superiore degli Stati a quello inferiore dei
cittadini, ossia vincolare questi ultimi ai principi enunciati nella convenzione attraverso la creazione di una
legge specifica nell’ordinamento statale.
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